Venerdì 31 marzo prende il via un altro sogno nel cassetto: il tour du Rutor. La mia prima gara di sci alpinismo a tappe. Tre giorni di sci alpinismo di altissimo livello per un totale di quasi 7000 metri di dislivello, dove contano allenamento, capacità sciistiche ed alpinistiche.
Il compagno di squadra di questa avventura è il mio amico, torinese parcheggiato, Andrea, uno dei tanti Andrea compagni di sci alpinismo. Ma al seguito di questa avventura ci sono anche altri due amici, Andrea e Vittorio, avversari in questa avventura ma miei compagni lo scorso anno rispettivamente all'Adamello ski raid ed al Mezzalama. Ma questa poco importa perché per me è stata sicuramente un'esperienza indimenticabile soprattutto dal punto di vista umano.
Stavolta voglio fare un racconto diverso dal solito, andando oltre quella che potrebbe essere la banale cronaca delle tre tappe. Certo abbiamo fatto un tour fantastico, ogni giorno il percorso era caratterizzato sempre da tre salite ed altrettante discese, su neve fantastica, purtroppo carente in questa stagione, toccando il primo giorno la vetta del Rutor, il tetto della gara, con un'ultima salita di tappa veramente impegnativa dove si è visto di tutto, caratterizzata da un pendio molto ripido, da un paio di canali altrettanto ripidi, una seconda giornata con tappa relativamente soft, decisamente meno impegnativa dal punto di vista alpinistico, ma poco di meno da quello fisico. Ed infine il terzo giorno, altra tappa super, con ancora il caldo ad accompagnarci, la cresta affilata della punta Flambeau, ancora terreno glaciale, ancora alta montagna oltre i 3000 metri di quota, la vetta dello Chateau Blanch, ed il traguardo finale tagliato sempre mano nella mano con il mio compagno di squadra, a coronare questo sogno che è diventato realtà.
Brevemente queste sono state le nostre fatiche, abbiamo lottato anche con il caldo e la disidratazione, i santi ristori che mi hanno permesso di arrivare in fondo perché il litro di integratori non era sufficiente, ma di tutto questo rimane il bel ricordo dell'aspetto umano, la corda invisibile che mi legava al mio compagno, che l'ultimo giorno ho dovuto pazientemente aspettare, complice la stanchezza e la notte insonne, e le mie maledizioni per non avere avuto un cordino vero per trainarlo e guadagnare qualche minuto in classifica, ma noi siamo sempre rimasti uniti. Rimangono i bei ricordi delle quattro risate fatte coi miei compagni in attesa della partenza per allentare un po' la tensione. Ma è anche bella l'amicizia che nasce al momento con degli perfetti sconosciuti, con cui subito nasce un filo conduttore essendo tutti malati alla stessa maniera.
Tutti ingredienti che hanno reso il tour du Rutor un'esperienza che ha lasciato il segno andata come è andata con la soddisfazione di averlo portato a termine, con altri progetti e sogni per l'anno a venire senza dimenticare l'imminente tour du Gran Paradis, che ci vedrà ancora fianco, stessa squadra.